Economia e pandemia, la crisi vista dai lavoratori di tre continenti
Il Randstad Workmonitor 2020 analizza il secondo semestre dell’«annus horribilis» a causa del Covid-19. Preoccupati, disposti ai sacrifici e non sempre capaci di aggiornarsi: così si raccontano i dipendenti delle società di 34 Paesi, che però si dimostrano fiduciosi verso i propri datori di lavoro
Il 2020, contraddistinto dall’esplosione della pandemia di Covid-19, ha avuto degli effetti enormi sul mondo del lavoro. Miliardi di persone hanno dovuto far fronte alle restrizioni e a livello globale le aziende sono state costrette a operare in modi nuovi e stimolanti: anche i più resistenti e dinamici stanno però subendo lo stress dovuto all’epidemia. Lavorare da casa è diventata la normalità e le imprese sono spinte ad accelerare la propria trasformazione digitale: questi cambiamenti nell’economia stanno obbligando le figure professionali, anche le più avanzate, a migliorare rapidamente le competenze.
Tenendo in mente tutti questi riferimenti è stato costruito il Randstad Workmonitor 2020 (qui il dossier completo in inglese), ricerca semestrale che si è focalizzata sulle sfide del lavoro alle prese con il coronavirus e gli effetti sulla vita personale dei dipendenti delle aziende. I dati sono stati raccolti nell’ottobre 2020 in 34 Paesi di tre continenti e permettono di avere un quadro inedito. Una delle caratteristiche più importanti di questo momento storico è infatti rappresentato dalla globalità delle risposte ricevute: Paesi di tutto il mondo sono stati messi di fronte alla stessa situazione offrendo la possibilità senza precedenti di analizzare a livello statistico questo l’impatto sul lavoro su scala mondiale. Lo studio è stato condotto online tra i dipendenti di età compresa tra i 18 e i 65 anni (minimo 800 interpellati) che lavorano per almeno 24 ore settimanali in un lavoro retribuito (non lavoratore autonomo).
Una forte maggioranza (71%) afferma di essersi sentita emotivamente sostenuta dal proprio datore di lavoro durante la pandemia e il 79% crede di avere le attrezzature e la tecnologia necessarie per adattarsi alla digitalizzazione. Allo stesso tempo, il 40% afferma di avere difficoltà ad apprendere le nuove competenze richieste in questa nuova era digitale. Oltre a una serie di domande a rotazione, il sondaggio affronta anche la soddisfazione sul lavoro, cattura la probabilità che un dipendente cambi lavoro entro i prossimi sei mesi e fornisce una comprensione completa dei sentimenti e delle tendenze nel mercato del lavoro.
«Nonostante l’impatto ad ampio raggio che la pandemia ha avuto sulla vita dei lavoratori in tutto il mondo – spiega Jos Schut, chief HR officer Randstad Global – è incoraggiante vedere dalla nostra ricerca di Workmonitor che la maggior parte si sente supportata dai datori di lavoro. Poiché le restrizioni vengono imposte in molti mercati in tutto il mondo, le organizzazioni dovranno supportare meglio la loro forza lavoro, anche se dovranno affrontare più mesi di incertezza e stress aggiuntivo».
Altri esperti sottolineano che la grande trasformazione digitale che stanno subendo le organizzazioni avviene a una velocità senza precedenti. Secondo Kate Smaje, co-leader globale di McKinsey Digital, le aziende durante la pandemia «stanno realizzando in 10 giorni ciò che prima richiedeva 10 mesi».
Tornando al sondaggio il 18% dei lavoratori in tutto il mondo afferma di aver accumulato più ore di lavoro senza un aumento della retribuzione solo per mantenere il proprio lavoro. Un altro 30% afferma di aver assunto un ruolo diverso all’interno della propria azienda, o che lo assumerebbe se richiesto. Secondo uno studio su 3,1 milioni di persone riportato da Fortune, i lavoratori di tutto il mondo stanno spendendo 48 minuti in più al giorno al lavoro a causa della pandemia. In un sondaggio condotto a giugno sui datori di lavoro, il gruppo Everest ha scoperto invece che il burnout da superlavoro era la prima preoccupazione, espressa dal 52% degli intervistati. L’indagine ha inoltre rilevato che il 34% ha avuto un impatto positivo sulla produttività, mentre il 19% ha riportato un effetto negativo.
Per quanto riguarda le nuove modalità lavorative, tra gli intervistati si sono imposte due idee principali. La prima riguarda una tipologia ibrida tra presenza e lavoro a distanza: media mondiale (35%), Americhe (37%), Asia (36%), Europa orientale (32%), Europa nordoccidentale (33%) e Europa meridionale (35%). La seconda riguarda degli orari di lavoro flessibili: media mondiale (24%); Americhe (19%); Asia (21%); Europa orientale (29%); Europa nordoccidentale (27%) ed Europa meridionale (24%).
Di seguito una sintesi sui risultati ottenuti da alcune quesiti presenti nel Workmonitor di Randstad.
Fiducia dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro: la media mondiale si attesta al 71%, per quanto riguarda invece le aree continentali la percentuale più alta è quella dell’Asia (75%), poi Americhe (72%), Europa meridionale (71%), Europa orientale e nordoccidentale (69%).
Apprendimento di nuove abilità per adattarsi all’epidemia: il dato generale mondiale è del 40%, anche in questo caso l’Asia registra un livello più alto (52%), seguita dall’Europa meridionale (41%), Americhe (37%), Europa nordoccidentale (35%) e Europa orientale (34%).
Sentono di avere gli strumenti per affrontare la digitalizzazione: una percentuale mondiale del 79%, con Americhe all’87% (era 82% nel 2015), Asia all’80% (era del 79%), Europa meridionale al 76% (stabile), Europa nordoccidentale al 78% (era al 74%) ed Europa orientale all’80% (era al 70%).
Accetterebbe aumento dell’orario di lavoro e dello stipendio: 18% mondiale; 24% Asia; Americhe 23%; 18% Europa meridionale; 15% Europa orientale; 13% Europa nordoccidentale.
Accetterebbe una diminuzione stipendio o una retrocessione lavorativa: la media mondiale è del 10%; seguono Asia (16%), Americhe (13%), Europa meridionale (8%), Europa orientale (8%) ed Europa nordoccidentale (7%).
Accetterebbe un licenziamento temporaneo o una diminuzione dell’orario di lavoro: media mondiale al 18%, composta da Europa orientale (22%), Europa nordoccidentale (19%), Europa meridionale (18%), Americhe (16%) e Asia (16%).
Vorrebbe lavorare da casa tutto il tempo: media mondiale 14%, Americhe 21%, Asia 16%, Europa orientale 11%, Europa nordoccidentale 10% ed Europa meridionale 13%.
Credono di lavorare in un ambiente lavorativo predisposto alle innovazioni: media mondiale 80%, Americhe 83%, Asia 81%, Europa orientale 78%, Europa nordoccidentale 79% ed Europa meridionale 76%.
Ha faticato ad apprendere nuove abilità per adattarsi alla pandemia: la media mondiale si attesta al 40%, con l’Europa meridionale che si posiziona sopra la media (41%), così come l’Asia (52%); al di sotto Americhe (37%), Europa orientale (34%) ed Europa nordoccidentale (35%).
Desidera un lavoro che offra formazione nel mercato post Covid-19: media mondiale 37%; Americhe 37%, Asia 35%, Europa orientale 40%, Europa nordoccidentale 35% ed Europa meridionale 38%.